BOTTIGLIE DI PLASTICA SOTTO ACCUSA E ACQUA DEL RUBINETTO PERICOLOSA PER LA SALUTE

BOTTIGLIE DI PLASTICA SOTTO ACCUSA  E ACQUA DEL RUBINETTO PERICOLOSA PER LA SALUTE

La plastica nella quale si conserva l’acqua in bottiglia è sotto attacco. Rilascia, infatti, secondo gli esperti, il bisfenolo A. Si tratta di un componente riconosciuto come sostanza che aumenta l’incidenza di cancro, di disturbi neuronali e cardiaci. E’ per questa ragione che già dal gennaio 2011 la Commissione Europea ha proibito la produzione e la commercializzazione di biberon per i più piccoli, che contengono questa sostanza. L’acqua in bottiglia, inoltre, tende ad acidificare. Di conseguenza peggiora l’equilibrio acido-basico del nostro organismo, che avrebbe al contrario bisogno di alcalinizzare visto che, per sua natura, è portato all’acidità. Non solo. L’acqua in bottiglia viene trattata con dei conservanti, al fine di mantenerla sempre limpida e inodore, anche anni dopo essere stata imbottigliata. È per questa ragione che se prendiamo l’acqua da una sorgente di montagna e la imbottigliamo, dopo qualche settimana emana cattivo odore, mentre l’acqua in bottiglia rimane sempre fresca. Bere acqua in bottiglia, dunque, non è consigliabile. E l’acqua del rubinetto? Purtroppo è trattata con il cloro, al fine di prevenire la formazione di batteri, alghe e micro-organismi. Il cloro, però, non è salutare, anche se diluito e a basse quantità. Tanti studi evidenziano, infatti, una pericolosissima correlazione tra presenza di cloro nell’acqua potabile e malattie come il cancro, l’arteriosclerosi, infarto, ecc. Quando il cloro viene aggiunto all’acqua, infatti, si combina con i minerali in essa contenuti e forma dei suoi sottoprodotti detti Trialometani. Quest’ultimi scatenano la produzione di radicali liberi, che causano danni cellulari svolgendo un’azione cancerogena. A confermarlo diversi studi. Una ricerca condotta dagli studiosi di Hartfort Connecticut, ha dimostrato, infatti, che le donne con il cancro al seno hanno livelli di sottoprodotti del cloro più alti della media dal 50% al 60%, rispetto alle donne che non presentano questa patologia.

(Tratto da un articolo di Luigi Bignami apparso su Repubblica)



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